Archivio mensile:settembre 2017

Frequenze e modi propri di una trave – Problemi di Modellazione (1)

Nell’ambito della dinamica delle strutture, è inevitabile parlare di modi di vibrare, frequenze e periodi: tuttavia, quando si affrontano problemi e strutture semplici, come una trave, sia essa a mensola, semplicemente appoggiata o doppiamente incastrata, l’analisi FEM può portare facilmente a risultati poco realistici. In realtà è più corretto, anziché parlare di strutture semplici, di strutture ove complessivamente non è lecito fare l’assunzione/ipotesi che la maggior parte della massa sia concentrata a determinati livelli come gli impalcati di un edificio: in una trave doppiamente incastrata infatti possiamo invece dire che la massa da eccitare è distribuita lungo lo sviluppo della trave, e si può ricercare in questo caso particolare (come altri semplici) uno sviluppo analitico degli infiniti modi di vibrare e associate forme modali, ma se apriamo SAP2000 e disegnamo una trave, e lanciamo l’analisi… non succede nulla! Non calcola nemmeno il Load Case – MODAL. Ma perché?

La risposta è intrinseca nella formulazione del FEM: ragionando per funzioni di forma, i risultati dell’analisi dipendono dagli spostamenti dei nodi degli elementi frame sotto le varie situazioni. Tuttavia, se abbiamo un solo elemento frame incastrato ai due estremi, questi sono fissi e pertanto non viene nemmeno effettuato il calcolo. Ovviamente non è che SAP2000 non riesce a calcolare una trave doppiamente incastrata e sviscerarne gli aspetti, ma bisogna come sempre sapere cosa si fa: la prima cosa che potrebbe venire a mente sarebbe quella di dividere la trave incastrata in due, ed effettivamente adesso il calcolo parte, visto che adesso vi è il nodo di mezzeria non esternamente vincolato. Però… per quanti modi di vibrare avessimo tentato di trovare, ne troviamo solo tre. Questo cozza con la banalità del fatto che una trave, essendo un sistema continuo, possiede infiniti modi di vibrare, e noi ne troviamo solo 3. Quindi, evidentemente, c’è qualcosa che non va: ma ancora una volta non è il programma a sbagliare, ma noi che, introducendo pochissimi nodi esternamente svincolati, possono essere effettivamente calcolati solo 3 modi di vibrare. Inoltre, se confrontiamo la soluzione analitica in termini di periodo con quella trovata dal SAP… beh, è sballata!

A tal proposito, occorre effettivamente fare una modellazione più accurata: all’aumentare della suddivisione interna della trave, infatti, possiamo giungere a risultati sempre più vicini a quelli analitici, e trovare effettivamente un elevato numero di modi di vibrare: eppure la struttura è sempre la stessa, una trave doppiamente incastrata! Suddividerla in un numero sempre maggiore di elementi equivale grossomodo come operazione a “distribuire” la massa sull’elemento stesso, spalmarla, e pertanto ottenere dei risultati dal modello sempre più rappresentativi del reale comportamento della struttura. Ovviamente, lo stesso approccio non avrebbe molto senso in un edificio classico con impalcati in calcestruzzo, infinitamente rigidi nel loro piano: suddividere in molti elementi i pilastri, o ancor più le travi, non porta assolutamente agli stessi benefici in termini di rappresentatività, e pertanto possiamo lasciare i pilastri e le travi come elementi frame singoli riuscendo comunque ad avere un’approssimazione accettabile dei risultati.

Successivamente, potremmo provare a fare una modellazione con elementi brick, più per curiosità che per effettiva utilità: infatti la trave è in genere ben approssimabile ad un elemento monodimensionale, e lo sforzo maggiore di calcolo non trova una ragione (ovvero approssimazioni migliori) nella pratica. Tuttavia, possono occorrere anche qua dei problemi: infatti risulta molto importante la distribuzione spaziale degli elementi. Una distribuzione, ad esempio in sezione, degli elementi con una rigidezza prevalente in una dimensione rispetto all’altra, può portare a risultati anche qua sballati. Risulta perciò migliore una distribuzione senza direzioni privilegiate, al fine di cogliere meglio il comportamento. Un problema simile può avvenire ad esempio con una sezione quadrata e l’utilizzo degli operatori di meshatura DALL e SURF in CAST3M*: se non vi è un controllo su tale meshatura, DALL può creare dei problemi, senza che vi sia possibilità di accorgersene (a meno ovviamente del controllo umano).

Per approfondire, potete sfogliare l’ottimo libro di Rugarli, Analisi modale ragionata, che fa esempi diversi e argomentati direttamente con i numeri anche in caso di elementi shell. Le formule risolutive per una trave doppiamente incastrata e gli altri casi di carico sono mostrate nell’immagine qua sotto, dove \mu è la massa per unità di lunghezza:

vibrazioni_trave.png

Immagine tratta da Structural Dynamics and Vibration in Practice: An Engineering Handbook – D. Thorby – 2008

Questo piccolo esempio/chiacchierata/mini-riflessione serve a ribadire ancora una volta, specie per chi ha pochissima dimestichezza col FEM, che una buona modellazione è fondamentale per ottenere risultati accettabili, ma che buona modellazione non significa riproduzione della geometria effettiva: ed è per questo motivo che credo che i software BIM non troveranno mai un’applicazione diretta in ambito strutturale, poiché anche la modellazione più banale comporta delle scelte che variano in base alla struttura, e devono essere governate da chi effettivamente sta creando il modello. Il BIM pertanto, con tutte le sue pretese di automatismo, se avesse a disposizione dei supercomputer per ogni cosa potrebbe forse trovare un reale approccio strutturale, ma fino ad allora penso che sia uno strumento utilissimo per pianificare, controllare e governare la progettazione architettonica ed impiantistica, e contemporaneamente aiutare la progettazione strutturale solo in termini di riduzione degli errori fra i vari passaggi negli elaborati, consentendo un flusso progettuale più regolare, ma ancora lontano dall’integrazione strutturale diretta.


*: CAST3M è un programma agli elementi finiti estremamente avanzato che funziona esclusivamente per riga di comando, più o meno come Code_Aster, ma con un linguaggio proprietario.

Sul rischio sismico e sulle metodologie di stima dell’azione sismica

Con periodicità di frequenza sempre più ridotta si assiste purtroppo, in Italia, ad eventi sismici di media/alta intensità (ma non elevatissima) correlati ad un danneggiamento più o meno esteso, fino al disastroso. Per capire un po’ più nello specifico il fenomeno, andando oltre le parole e l’evidenza fattuale, metto qui a disposizione un capitolo della mia tesi magistrale che nel suo piccolo tenta di dare, con ovvi limiti e senza pretese di compiutezza, un’organicità all’argomento, analizzando il rischio sismico nelle sue tre componenti (pericolosità, vulnerabilità ed esposizione), fino ad arrivare al Sismabonus (D.M. 07/03/2017 n.65) e le considerazioni conclusive sul rischio sismico in Italia e perché questo risulti elevato malgrado la media sismicità del territorio.

Personalmente, nella stesura di questo lavoro, ho constatato come la stima dell’azione sismica risulti (a parer mio) impostata secondo metodi vecchi di decenni, basandosi in gran parte sulla sismologia storica, ovvero su dati opinabili (nel senso che spesso la base di lavoro era costituita da documenti la cui attendibilità variava in base alla sensibilità di chi stimava il documento) riferiti a patrimoni edilizi spesso solo stimati in quanto a seguito di terremoti catastrofici non rimaneva nulla. Sebbene la base teorica di questi metodi trovo sia valida, e per l’epoca di Cornell sia stata decisamente innovativa e molto più sensata degli altri metodi disponibili, non penso che il campione di partenza della sismologia storica possa risultare così efficace da definire con precisione l’azione sismica così come da NTC’08, ma che possa essere invece un’ottimo strumento per guidare ed elaborare modelli geofisici del sottosuolo atti alla stima dei terremoti, su basi oggettive e non soggettive. In tal senso, trovo che il metodo NDSHA (neodeterministico) sia più corretto del PSHA (probabilistico), e che possa trovare una sua ragione all’interno di una norma prestazionale come le NTC, sebbene il metodo probabilistico si inserisca molto più facilmente nell’impostazione degli stati limite: è forse in questo passaggio che non si è ancora concretizzata l’adozione piena di tale metodo per la stima dell’azione sismica, ma a fronte del rischio sismico che investe l’Italia trovo che una migliore stima di tale azione possa tradursi in un minore rischio, non nell’immediato, ma per indirizzare i futuri interventi su tutto il patrimonio esistente, cui prima o poi l’Italia dovrà far fronte, volente o nolente. Chiaramente è solo una parte del problema più ampio del rischio sismico, ma penso sia quella su cui è più facile intervenire, in quanto una vera politica di riduzione del rischio sismico si basa più di tutto su un elemento, ovvero il denaro investito che, come noto, è un elemento difficile da trovare, anche se il recente Sismabonus si è sicuramente mosso in una direzione molto positiva in tal senso, costituendo un ottimo ed importante passo.